24 luglio 2018

Bisceglie (BA) - E' una donna la più spietata caporale di Puglia



“Non è vita così … si stava sentendo male …poi è caduta a terra … prendi l’acqua … ma acqua non ne avevamo più … buttagli l’acqua … buttagli l’acqua addosso…”.
È uno stralcio di una conversazione intercettata dalla Procura di Bari nell’inchiesta “Macchia Nera” su una presunta organizzazione di caporali, che ha portato oggi all’arresto di 3 persone e per altre 4 è stato disposto l’obbligo di dimora (sono 11 in totale le persone indagate).
Al telefono due braccianti raccontano quanto accaduto a una loro collega, che si era sentita male a causa del caldo e del troppo lavoro, senza essere soccorsa. Era il 22 luglio 2016. L’indagine della finanza era appena cominciata.
Da allora in poi gli investigatori hanno raccolto numerose testimonianze di braccianti sfruttati. Una donna racconta di essere addetta a incassettare le ciliegie nel magazzino di Bisceglie e, poi, all’acinellatura. Nei campi “giungevo tramite un bus dell’azienda dopo essere partita da Mola di Bari, intorno alle ore 01.30” e “lavoravo anche per 15 ore consecutive, sempre in piedi, con una breve pausa pranzo di soli 30 minuti”. “Coloro che non pagavano – racconta la donna – venivano allontanati”.
“Sono stato costretto a sottostare alle condizioni imposte, – spiega agli investigatori un altro bracciante – perché ho una famiglia da mantenere composta da 4 persone e sono l’unica persona a lavorare in casa e soprattutto perché non riuscivo a trovare altri lavori”.
La presunta caporale, che i braccianti conoscevano come “Marisa”, istruiva i lavoratori su cosa rispondere in caso di controlli dei finanzieri , fornendo loro “bigliettini promemoria”: non dovevano chiamarla “caporale”, dovevano dire di lavorare 6 ore al giorno (e non 14 come invece avveniva) e non riferire che le corrispondevano una percentuale sul guadagno, già molto basso, che gli inquirenti ritengono una “vera e propria tangente sulla manodopera”.

Hanno parzialmente ammesso le accuse di caporalato ed estorsione ai danni dei braccianti agricoli le tre persone arrestate due giorni fa dalla Guardia di Finanza nell’ambito dell’indagine «Macchia nera» della Procura di Bari. Negli interrogatori di garanzia, i tre indagati hanno scelto di non rispondere su molte delle contestazioni, pur ammettendo di aver intascato la cosiddetta “quindicina”: 2 euro per ogni giornata di lavoro, che veniva distratta dai compensi dei braccianti e da loro versata ai presunti caporali ogni quindici giorni (Ansa).
I tre arrestati - Maria Macchia, incaricata di reclutare i braccianti e segnare le presenze; l’amministratore e l’addetto alla contabilità dell’azienda agricola Extrafrutta di Bisceglie, Bernardino Pedone; e Massimo Dell’Orco - sono accusati di aver pagato per anni 2mila braccianti agricoli circa 2 euro e 50 all’ora, facendoli lavorare fino a 14 ore consecutive sotto i teloni con temperature altissime, a condizione che per ogni giornata lavorativa restituissero al caporale 2 euro.
Agli indagati, 11 in totale, si contestano a vario titolo i reati di associazione per delinquere, caporalato, estorsione, truffa ai danni dell’Inps e autoriciclaggio. Al termine degli interrogatori il difensore dei tre arrestati, l’avvocato Salvatore Campanelli, ha chiesto la revoca delle misure cautelari e dei sequestri (circa 1 milione di euro) e il giudice si è riservato la decisione.



vota su Diggita share su Facebook Twitter vota su OKNotizie