23 luglio 1997

Bologna - Quattro donne inventano quattro stupri

Quattro storie di violenza su donne trasformano in "fiction" la cronaca giudiziaria sotto le Due Torri. Quattro denunce di giovani colte, grido di allarme in una citta' proiettata all'improvviso sul set di Arancia Meccanica, avevano fatto ipotizzare l'esistenza di un "branco" di bruti: forse un unico gruppo di tre italiani, da febbraio a maggio, aveva preso a colpire, con stupri particolarmente feroci, le studentesse universitarie.
Ora, dopo pochi mesi di indagini, la Procura e' giunta a una conclusione sconcertante: erano probabilmente tutte storie inventate. Un crescendo di finzioni, verosimilmente legate tra loro dall'emulazione, di quattro ragazze capaci di creare un "black - out" nel circuito polizia - magistratura - stampa - pubblica opinione. "Il branco era una mandria di "bufale", ha sintetizzato un investigatore.
Quattro "bufale" estive che stanno creando sconcerto forse quanto aveva potuto farlo quel crescendo di denunce di stupri di gruppo. Quel clima di terrore che aveva fatto sorgere come funghi i comitati contro la violenza sessuale, che aveva portato il procuratore Ennio Fortuna e il sostituto Andrea Materazzo, capo del "pool antistupri", a suggerire alle bolognesi di non girare da sole la notte.
Ada ha 30 anni. La sua vicenda e' venuta alla luce ieri quando i due magistrati hanno spiegato perche' hanno deciso di chiedere l'archiviazione dei quattro "casi di stupro di Bologna". Tra l'estate '95 e l'inverno '96 Ada ha denunciato una persecuzione: lo stesso uomo l'aveva violentata in tre diverse occasioni minacciandola con un coltello. Racconta: la prima volta in un giardino, la seconda per strada e la terza nella sua abitazione. Un'ispettrice si prende cura di Ada e nei colloqui cominciano a comparire le smagliature, seguite poi da numerose contraddizioni. Infine la polizia scientifica stabilisce che i vestiti consegnati dalla donna come prova delle violenze se li era strappati da sola. Ora Ada e' indagata per simulazione di reato.
Betta e' la prima vittima del "branco": il 17 febbraio, in via Guidotti, scende da casa per andare a una cabina telefonica. Tre giovani l'apostrofano: "Dai che ci divertiamo". Lei li manda a quel paese e comincia l'inferno. La buttano tra due auto, due la tengono ferma, il "capo" la stupra. La denuncia e' tardiva, Betta cade piu' volte in contraddizione, non collabora, non "aiuta" a capire. Gli inquirenti non possono crederle: il caso va archiviato. Cinzia abita in via Belle Arti, piena zona universitaria. Di sera, il 19 aprile, un'amica esce da casa sua. Qualche istante dopo il campanello suona. Lei apre tranquilla, ma anziche' l'amica si trova davanti tre giovani ubriachi che la trascinano a forza nel sottoscala e la seviziano con una bottiglia. Giorni dopo denuncia anche che qualcuno ha tentato di bruciarle il ciclomotore. In citta' cresce la paura. Ma anche il suo racconto non quadra. Alla fine ammette: "Si', mi sono inventata tutto". Per mancanza di affetto, spiegano. Anche lei e' denunciata per simulazione di reato.
Donatella, il 29 maggio, passa la serata in un locale pubblico. Un amico l'accompagna a casa. Entra nel giardino dove due giovani la chiamano con un nomignolo noto solo ai conoscenti stretti, la incappucciano con il suo stesso giubbotto, la trascinano nel sottoscala, la picchiano e la violentano. Poi la seviziano con un "oggetto freddo", la solita bottiglia. La Procura si convince che forse lo stupro in questo caso c'e' stato, ma lei protegge - chissa' perche' - gli aggressore, oppure qualcuno l'ha picchiata per punirla di una nuova relazione. Anche questo caso va archiviato.

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